La copintervista della settimana

Il suo nome d’arte è Federico Ruysh. A sentirlo il suo nome è altisonante.  Ispira una certa riverenza. Buonasera…..prego…..si accodomino ops scusi si accomodino. Tanto per citare qualche frase di fantozziana memoria.

Io ho avuto modo di parlarci e penso che sia una gran bella risorsa di copywriter. Ma ora mi tolgo di mezzo e facciamo parlare lui.

Signori e signore ecco a voi Federico Ruysch.

  1. Cosa vuol dire per te scrivere?

Scrivere è un’attività che ha un duplice significato. È preparare il foglio e la penna, concentrarsi e prepararsi a sudare e fare fatica per ore. È artigianato. Tecnica. Tanta mente e poco cuore.

Per contro, scrivere è anche tanto cuore e poca mente. È impulso irrefrenabile. Necessità di esprimere un’esigenza attraverso un sistema – o codice – che so essere funzionale, innanzitutto, alla mia gratificazione. Anche se non posso non pensare che parte di questa gratificazione derivi dalla speranza che, in ogni riga, possa nascondersi un benessere del potenziale lettore che, un giorno, la incontrerà.

 

Se, però, estendiamo il concetto a “che cos’è, per me, l’atto della scrittura”… allora le cose cambiano. Scrivere, persino oggi, nella sovrabbondanza dei mezzi di espressione e nella più clamorosa atrofizzazione dei “mezzi di ascolto” che l’umanità abbia mai conosciuto… persino oggi, scrivere è assumersi la responsabilità di modificare la Storia. Si scrive sempre nell’oggi, ma lo si fa sempre per il domani. Ed è bene sapere sempre che ogni parola, ogni verbo, ogni concetto di oggi potrebbe essere un’idea, una parola, un concetto del domani. È questa, a mio parere, l’immodesta responsabilità dello scrittore; questo il suo dovere. Chi scrive non deve mai prendersi troppo sul serio, pur prendendosi estremamente sul serio, sempre. So che è paradossale. Ma non credo sia un problema fronteggiare un paradosso, per chi pretende di fronteggiare la Letteratura, no? 🙂

 2. Ti piace scrivere? Devi aver avuto un’adolescenza travagliata. 

Esiste un’adolescenza che non sia travagliata? 🙂

Scherzi a parte, ci terrei a sfatare questo mito: lo scrittore non è un maledetto. E non tutti i maledetti sono stati scrittori. Certo, scrivere è far fronte ad un problema, è affrontare un disagio, ma non è una onanistica seduta di psicanalisi. Non è di sé e delle proprie sfortune che scrive uno scrittore. È dell’universo. È dell’umanità. Che poi il punto cardine nel quale tutto questo si incardina sia una storia estremamente “piccola” al cospetto dell’eternità, non importa. Ma il fine ultimo è l’infinito, non l’egoismo. Non è del travaglio dell’adolescenza che bisogna fare tesoro, ma del dolore che è proprio del cosmo, per poi raccontare le malinconiche e provvisorie soluzioni che, di volta in volta, l’umanità ha trovato per far fronte a questa meravigliosa tragedia che è l’esistenza.

 3. Scrittore preferito e perché…

Posso sceglierne uno per secolo? Uno per movimento culturale? Uno per tutti? Se proprio devo… uhm… me ne vengono in mente una decina. Diciamo che non lo dico ed invito tutti a conoscere meglio ciò di cui mi occupo su http://www.federicoruysch.com e su http://www.arabicafenice.com. Gli scrittori preferiti si sentono, tra le righe, come eco non troppo distanti della Letteratura che amo!

Grazie per avermi concesso questa intervista.

Grazie a te Federico!

 

 

 

 

 

 

 

 

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